Pianificare lo sviluppo di servizi e prodotti digitali secondo una strategia privacy by design. Un atto dovuto, in conseguenza delle normative che regolamentano la protezione dei dati personali e l’economia digitale nelle sue diverse declinazioni, ma soprattutto una decisione che deriva dalla consapevolezza che la governance dei dati è ormai destinata ad essere parte integrante del core business aziendale in quanto elemento differenziante per la propria competitività.
Emblematico è il caso di Apple che ha fatto della privacy una leva strategica per il proprio modello di business (vedi nostri post qui, qui e qui). È un chiaro segnale di una nuova visione che si sta lentamente ma progressivamente affermando. Per attrarre nuovi clienti e mantenere la fedeltà di quelli esistenti è necessario porsi delle domande sulle questioni che ruotano attorno al tema della privacy e dare ai singoli utenti piena trasparenza e controllo sulla gestione dei propri dati.
Perché questo possa realizzarsi devono però verificarsi tutta una serie di condizioni. Non si può certo pensare che i risultati si ottengano per pura magia. Serve immaginare e progettare un’architettura dati di tipo “responsive” in grado di adattarne la gestione in funzione delle richieste dei clienti, stabilendo quindi un modello operativo ispirato al rispetto della protezione dei dati personali.
I clienti non sono prodotti e gli utenti non possono essere trattati alla stessa stregua di comuni dispositivi IoT in quanto la relazione uomo-macchina rende implicita la raccolta di informazioni personali. La tecnologia deve essere al servizio delle persone, queste ultime devono essere messe nella condizione di poter scegliere come i loro dati vengono raccolti, usati e condivisi.
Per raggiungere questi obiettivi è necessario disporre di servizi di intelligence in grado di eseguire una mappatura dei dati che vengono trattati, determinando modalità e finalità con cui questi possono essere gestiti. Interpretare la privacy come puro esercizio di compliance è riduttivo. La sfida è riuscire a declinare il trattamento dei dati in funzione di un modello di business data driven innovativo, non più ostaggio dei regolamenti ma ispirato a un nuovo rapporto con gli utenti che diventano parte attiva e consapevole nella definizione del rapporto fornitore-consumatore.
Dare valore ai dati significa imparare a comprenderli, poterli utilizzare nelle attività di tutti i giorni nel rispetto di un patto di trasparenza concordato con i propri clienti. Investire in questo percorso crea i presupposti per poter prendere decisioni strategiche più responsabili in tutte le aree di business, dalle vendite al marketing, dalle risorse umane al finance.
Per Red Open l’approccio a un modello di business “data driven” – che identifica la privacy come parte irrinunciabile del proprio modo di essere sul mercato – prevede una strategia di Holistic Data Governance. Affrontare queste problematiche in modo non strutturato, improvvisando o semplicemente delegando all’esterno competenze chiave, nel medio e lungo periodo può essere un rischio e un disvalore competitivo.
È tempo di progettare l’innovazione digitale sostenibile: trasformare i processi, migliorare le performance, affrontando responsabilmente le questioni sollevate dalla data economy. Il cliente non è il prodotto e il prodotto non è il cliente.
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