Negli ultimi anni la proliferazione dei più diversi dispositivi digitali ha creato un tessuto connettivo che avvolge e connette moltitudini di persone, aziende e istituzioni. È un fenomeno che ha trasformato le relazioni individuali e sociali, con impatti anche sugli aspetti emotivi delle persone.
Siamo di fronte a un’automazione senza confini fisici, sovrabbondante, sempre disponibile, che si insinua anche negli spazi personali e che permette la tracciatura “consensuale” grazie a una raccolta di dati e informazioni dei singoli individui. Siamo a un punto di non ritorno? Il pericolo esiste ed è per questo che dobbiamo impegnarci al massimo affinché il concetto di privacy si trasformi in qualcosa di tangibile, facilmente comprensibile a tutti, al di là di policy e consensi accettati sulla fiducia.
Una trasformazione in questa direzione è già in atto, ed è dirompente.
La risposta è nella “privacy nutrition label”, un’approccio alla gestione dei dati che sino all’annuncio di implementazione da parte di Apple, avvenuto lo scorso settembre, sembrava dimenticato negli antri istituzionali e accademici dove era nato intorno alla fine degli anni duemila.
Il parallelo è con le informazioni nutrizionali che appaiono sulle confezioni alimentari.
Significa che se le applicazioni si “alimentano” di informazioni che l’utente concede, l’avere a disposizione, prima dell’uso, una tabella di sintesi che indichi in modo chiaro i dati che vengono raccolti – il loro uso, i consensi e le policy – semplificherebbe e renderebbe del tutto trasparenti le relazioni tra fornitore e consumatore.
È iniziata quindi l’era della “privacy nutrition label”. Prossimamente sarà una consuetudine doverla leggere prima di scaricare un’applicazione sul proprio dispositivo.
Avremo così la possibilità di conoscere come “alimentiamo le applicazioni”, e i relativi produttori, avendo certezza su come i dati verranno trattati: il consenso sarà un atto dovuto e tangibile.
La persona viene quindi messa di fronte ad evidenze chiare, immediate e trasparenti sulla raccolta e l’uso dei propri dati e sulla tracciatura che si subisce pur avendo dato il consenso, atto di fiducia in bianco con una crocetta su un modulo la cui comprensione è per addetti ai lavori.
La trasparenza sull’uso dei dati è oggi ancora più importante visto che la “raccolta” e la “macinatura” dei dati è alla base delle tecniche di apprendimento di elaboratori che dovrebbero dare risultati intelligenti e usabili, alla base di campagne di marketing, sviluppo prodotti, campagne fedeltà e altro ancora.
Per esempio, a fronte di un consenso raccolto, l’azienda usa le informazioni che l’utilizzatore concede per migliorare un prodotto e servizio, e di conseguenza egli diventa parte e contributore del processo di open innovation dell’azienda. Ma che benefici avrà nella prossima release del prodotto a cui ha dato un contributo nello sviluppo? Nessuno, anche perché questo dipende da un codicillo a cui si è dato un consenso senza esserne realmente consapevoli.
Dall’etica all’etichetta
Del resto i dati da noi “elargiti” ai social network, in forma gratuita, hanno mostrato come sia possibile per loro arricchirsi senza che l’utente abbia un beneficio concreto, salvo l’essere lui il prodotto, il produttore, e anche il consumatore.
I richiami etici sono quindi vuote lezioni di morale. Come primo passo sarebbe molto più semplice adottare dei principi chiari e trasparenti di responsabilità verso il prossimo, e di riconoscimento. Una tabella facilmente leggibile implica una trasparenza e partecipazione delle persone, un fatto che rompe gli equilibri del “traffico di dati”. Non è infatti un caso che si siano sollevate da più parti reazioni contrarie.
La trasparenza diventa tangibile
Al di là dell’etichetta che apporranno sui loro prodotti, la sfida che spetta alle imprese sarà governare la responsabilità dell’innovazione con una governance che includa le politiche di raccolta e trattamento dei dati: solo così sarà superabile una verifica di veridicità di quanto dichiarato dall’etichetta della privacy. E soprattutto mantenere le promesse al cliente che ha dato la sua fiducia.
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